sabato 24 marzo 2012

Giovanni Pascoli coi fratelli Luigi, Giacomo, e il padre Ruggero


 Il tempo del pane nuovo è venuto
Dov'è, campo, il brusìo della maretta
quando rabbrividivi ai libeccioli?
Ti tresta qualche fior d'erba cornetta,
i fiordalisi, i rosolacci soli.

E nel silenzio del mattino azzurro
cercano invano il solito sussurro;
mentre nell'aia, là, del contadino,
trèbbiano nel silenzio del mattino.
Dov'è, campo, il tuo mare ampio e tranquillo,
col tenue vel di reste, ai pleniluni ?
Pei nudi solchi trilla il grillo,
lucciole vanno per i solchi bruni.
E nella sera, con ansar di lampo,
cercano il grano nel deserto campo;
mentre tuttora, là dalla riviera
romba il mulino nella dolce sera.
 Canzone di marzo 

Che torbida notte di marzo!
Ma che mattinata tranquilla!
che cielo pulito! che sfarzo
di perle! Ogni stelo, una stilla
che ride: sorriso che brilla
su lunghe parole.
Le serpi si sono destate
col tuono che rimbombò primo
Guizzavano, udendo l'estate,
le verdi cicigne tra il timo;
battevan la coda sul limo
le biscie acquaiole.
Ancor le fanciulle si sono
destate, ma per un momento;
pensarono serpi, a quel tuono;
sognarono l'incantamento.
In sogno gettavano al vento
le loro pezzuole.
Nell'aride bresche anco l'api
si sono destate agli schiocchi.
La vite gemeva dai capi,
fremevano i gelsi nei nocchi.
Ai lampi sbattevano gli occhi
le prime viole.
Han fatto, venendo dal mare,
le rondini tristo viaggio.
Ma ora, vedendo tremare
sopr'ogni acquitrino il suo raggio,
cinguettano in loro linguaggio,
ch'è ciò che ci vuole.
Sì, ciò che ci vuole. Le loro
casine, qualcuna si sfalda,
qualcuna è già rotta. Lavoro
ci vuole, ed argilla più salda;
perché ci stia comoda e calda
la garrula prole.